Situato in terra di mezzo al confine tra quattro province di altrettante regioni, il Birrificio Montegioco propone birre dalla forte connotazione territoriale. Riccardo Franzosi, mastro birraio e imprenditore di questa realtà, si affida alle sue birre e alla sinergia con altri produttori locali per promuovere le peculiarità gastronomiche e paesaggistiche delle colline tortonesi
di Roberto Tognella
A pochi chilometri da Tortona, in un’antica terra di confine tra Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna il Birrificio Montegioco raccoglie nelle sue produzioni la più sincera espressione di territorialità. Evocare attraverso la birra i paesaggi, le tradizioni contadine e gastronomiche di Montegioco e delle colline tortonesi, è stata, fin dalla nascita del birrificio, l’idea di Riccardo Franzosi conosciuto e rinomato mastro birraio in Italia e all’estero. Un diploma in agraria, estimatore brassicolo, homebrewer, tanta voglia di plasmare con le proprie mani una sua attività professionale, Riccardo decide un giorno per il “grande salto”, sostenuto dai molti estimatori della sua birra fatta in casa, amici e operatori del settore: abbandona l’attività di famiglia nell’edilizia e in un vecchio magazzino allestisce il suo moderno microbirrificio. Da quei giorni, era il 2005, sono nate oltre venti etichette, molte delle quali stagionali, birre classiche dagli stili più diversi − bionde, weinzen, bianche, bitter e stout − bevute in Italia, in Europa e negli Stati Uniti; con alcuni produttori di tipicità del tortonese sono nate interessanti sinergie all’insegna di quell’idea di territorio che ha animato fin dagli esordi l’attività del Birrificio Montegioco. Riccardo ci accoglie in un piccolo locale di una vecchia casa di paese, poco distante dal birrificio, sta preparando una degustazione delle sue birre accompagnate da salame nostrano di maiali al pascolo: si “va in onda” su una prestigiosa guida delle birre artigianali italiane.
L’idea di territorialità è un po’ il lite motive che ispira la sua attività. Un’idea verace e sincera, senza premeditazioni commerciali… Non riesco nemmeno io, fino in fondo, a spiegarmi questo profondo legame che da sempre nutro per le terre nelle quali sono nato. Abbandonare Montegioco, le sue colline, questi paesaggi rurali anche solo per qualche giorno, per eventi brassicoli o impegni di lavoro, crea un non so che di “mood”, uno stato di malinconia che mi accompagna spesso fino al ritorno a casa. Da questo sentiment, probabilmente nasce il desiderio di dar voce a questo territorio, di farlo conoscere, di spingere il gastronauta attento e il viaggiatore comune a fermarsi per un assaggio delle nostre tipicità, non solo il celebre agnolotto, ma i nostri salami prodotti con le parti di pregio del maiale o formaggi come il Montebore, o la ciliegia Bella di Garbagna entrambi presidi Slow Food, o ancora la Pesca di Volpedo o il Timorasso vitigno autoctono dal quale nasce vino di pregio.
Alcune di queste specialità diventano ingredienti delle sue birre.
Il primo sincretismo con i prodotti del territorio nasce con il mondo del vino. Walter Massa, “papà” del Timorasso − colui che più di vent’anni fa riscoprì questo vitigno dell’alessandrino e diede luce e pregio internazionale al vino, un bianco, che se ne ricava − sapendo della mia attività, incuriosito, venne a farmi visita. Ne nacque una bella amicizia che mi aprì in seguito sia all’impiego delle uve di Timorasso in birrificazione sia all’uso delle barrique per l’affinamento del prodotto. Ricordo, visitando alcune cantine della zona, quanto rimasi “sensorialmente” colpito dall’intensità di profumi che sprigionavano le botti svuotate del vino, m’immaginai quei profumi nelle mie birre…
Quel giorno nacque anche il “Metodo Cadrega”… Cadrega, che in dialetto significa sedia, è un termine simpatico ed efficace per spiegare l’attesa: attesa necessaria per la lenta e naturale maturazione in barrique di alcune nostre birre, come La Mummia, una sour bionda leggera e rinfrescante e la Dolii Raptor, ambrata robusta e complessa.