Anche per quest’anno, seppur con estremo e colpevole ritardo,
parliamo delle divise della serie A di basket ma lo facciamo con un approccio
differente. È ora di dire basta con questa pratica dei televoti, della contesa,
del noi contro voi, della competizione in ogni aspetto della nostra vita, basta
basta basta con l’isola dei famosi e del mors tua vita mea sempre e comunque.
Proviamo a fare una semplice e breve analisi ipermegacritica di quel che
vediamo correre su e giù sui nostri amati parquet ogni domenica.
La premessa è quella di sempre, tutto questo minestrone di loghi non si abbina
con l’estetica ma questo è un discorso ormai vecchio come il cagnolino di San
Rocco (scusate ma una frase in memoria di mio padre dovevo mettercela per forza
in qualche modo), però …
si … c’è un però,
Modalità egocentrismo ON
Le pagelle di BasketKitchen hanno evidentemente spinto le aziende a fare un
certo qual sforzo perché le linee e gli abbinamenti di colore siano migliori e
vadano ad intrecciarsi in maniera più armonica con l’ammasso di brand
(maledetto Dio danaro) di cui sono invase le maglie.
OFF
Ora passiamo alle cose serie [semicit.]
Pistoia è il chiaro esempio di ciò che ho appena provato a dire, ha limitato la
classica scacchiera sul laterale del pantaloncino per liberare il resto, c’è
Sassari che ha ridotto l’opacità delle maschere in trasparenza aiutando molto
la leggibilità. A proposito, complimenti per la coppa.
Brescia si è lasciata andare all’aggiunta di motivi grafici ripetuti e per
quanto siano ben bilanciati e non vadano ad intaccare la leggibilità degli
sponsor sulla canotta, sul pantaloncino risultano un filo troppo invadenti ed
evidenti, soprattutto nella versione a fondo blu, ma è comunque molto
interessante.
C’è poi chi come l’Aquila, pur limitando al minimo la grafica dedicata ai
colori societari, purtroppo ha un risultato non armonico a causa di un numero
elevato di pezze per gli sponsor e di loghi a colori che la rende un
po’ confusa, come il mio armadio che se lo vedesse mamma, uff quante me ne
direbbe. È da sempre una delle mie preferite, quest’anno han dovuto fare di
necessità buon viso. No, mi sa che non era così. Nota positiva, ogni
inserzionista sarà contento perché vedrà bene il suo logo, that’s it.
A proposito di patch anche quest’anno ne abbiamo varie, Varese ne ha fatto
praticamente una filosofia di vita, tipo Marco “Cookie Monster” Belinelli
a Golden State. Il suo biscotto sul petto per dar evidenza allo sponsor (sul
quale non mii ripeterò) sembra inderogabile e alla fine la coerenza è un
valore; il competitor di mercato a Venezia ha da sempre quel rosso che mal si
integra con i colori societari ma a mitigare la cosa ci sono gli inserti
grafici e il maestoso Leone di San Marco dorati che sono veramente
apprezzabili; oppure ancora c’è Avellino che però reagisce grazie a dei graffi
aggressivi e molto belli, soprattutto nella versione away con un verde acido
sfumato molto attraente.
Patch, etichette, toppe, pezze, patacche e macchie di sugo, molto bene.
Anche il logo di Torino è una patch per quanto mi riguarda anche se certamente di tutt’altro genere, resta comunque una delle divise migliori della serie A nella sua semplicità, il tarlo che si possa fare meglio con quello sponsor però non me lo toglie nessuno, così come si può dire di Milano da cui ci si aspetta tantissimo vista la genialità e lo stile di chi ci mette il nome.
Il prossimo anno li voglio tutti in denim, si può fare?
Gli stessi colori dell’Olimpia li veste anche Pesaro, che ha spezzato la
monotonia utilizzando una fascia curva sul petto e con dei motivi grafici tono
su tono al suo interno. Apprezzo la volontà di dare grande spazio al logo
societario anche se i due sponsor fanno un filo di rumore, confusione che
Cremona scongiura grazie alla sovrapposizione di proprietà e main sponsor che
permettono di restituire una linea pulita ed una grande identità. La stessa
pulizia la troviamo a Bologna che in questo modo valorizza davvero molto il suo
inserzionista, su una linea forse fin troppo basic ma ehi, funziona. Grandi
complimenti anche a loro per la coppa, due trofei europei portati nello stivale
non li si vedeva da un po’. Brindisi segue le V nere sulla strada della
linearità dove però il numero degli sponsor aumenta e chiaramente la
leggibilità bla bla bla, ce lo siamo già detti.
Questa benedetta ed extra citata leggibilità è amplificata nelle divise di
Trieste che lascia accesa una sola fila del pannello dell’oculista e mostra con
orgoglio sul petto il nome della città, facendogli fare da cappello allo
sponsor principale che si vede benissimo ed è separato dal secondo il quale,
nonostante sia sulla schiena, é molto evidente e si legge meglio di tanti altri
di cui abbiamo parlato fino ad ora sul petto di molte avversarie. Chiaramente
la divisa nera, beh, è meravigliosamente tutta un’altra cosa. Per citare il
poeta, “Cinema.”
E poi c’è … un errore di sistema, un glitch.
Certamente non una novità assoluta ma chiudo con una soluzione su una strada opposta, quella di Cantù. La storica società brianzola ha sacrificato i propri colori sull’altare del marketing, lo sponsor si appropria della divisa nella sua interezza e per quanto questo possa prestare il fianco a sciocchi sfottò dalle tifoserie avversarie, no beh aspettate, mi sa che li sto sopravvalutando, comunque dicevo, di sicuro è estremamente caratterizzante e funzionale, quindi siamo sicuri che sia proprio un sacrificio?
Enjoy the playoffs folks
MIRKO CARCHIDI